“Mia cara amica rispondo al tuo interrogativo sul bisogno di vacanze, turismo e soggiorni in luoghi diversi dai consueti con un frammento di una pagina di Thomas Mann, ne La montagna incantata: ‘Noi sappiamo benissimo che intercalando assuefazioni nuove e diverse adottiamo l’unico rimedio che serva a trattenere la vita, a rinfrescare il nostro senso del tempo, e così il nostro sentimento del vivere si rinnova. Questo è lo scopo di chi cambia aria e luogo, di chi va ai bagni, di chi si ricrea con diversivi ed episodi. I primi giorni di un nuovo soggiorno hanno un andamento giovanile, cioè ampio ed energico… vanno da sei a otto. Poi, via via che uno ‘si acclima’, nota che man mano si accorciano; chi è attaccato o, meglio, si vorrebbe attaccare alla vita, avvertirà con orrore come i giorni ridiventino leggeri e si mettano a scivolar via; e l’ultima settimana, poniamo di un mese, vola con rapidità paurosa (…) e quando si ritorna (…) … dopo sole 24 ore è come se non si fosse mai partiti e il viaggio fosse stato il sogno di una notte’”.
Leggo il messaggio di Cristina, risposta alle domande che ho lanciato qui l’altro giorno (al di là dei motivi di necessità - il lavoro, la famiglia, la salute - cosa ci spinge ad andare in un certo posto? oggi che una “vacanza” dura di rado più di due settimane, di cosa andiamo in cerca?), mentre mi trovo in una minuscola località dell'entroterra sardo, Rebeccu, disabitato come tanti altri borghi in tutta Italia. Disabitato, ma non abbandonato, precisa Valeria Orani (bravissima impresaria teatrale, per molti anni mia vicina di casa a Roma prima di trasferirsi a New York) che, invitata dalle istituzioni locali e desiderosa di mantenere stretto il rapporto con la sua Sardegna, ha organizzato a Rebeccu un festival, MusaMadre, pronto a diventare la prima tappa di qualcosa di più grande: residenza internazionale per artisti, occasione di scoperta o riscoperta di un territorio da (rispettosamente) valorizzare, luogo di incontro fra affini e diversi nel segno della serendipità.
Sarà perché sono arrivata qui direttamente da Cluj, con solo qualche ora di “scalo tecnico” a Roma; sarà che il mio soggiorno in Romania e la mia presenza a Rebeccu non ricadono sotto l’etichetta della vacanza, non riesco a rispecchiarmi nelle parole di Mann. Le riconosco vere nella loro disincantata malinconia, eppure - in questo posto tanto diverso, tanto lontano - le ultime settimane le sento ben vive dentro di me, non certo il sogno di una notte!
Così, anche se ormai sono distante da Bucarest, voglio chiudere il mio diario di bordo rendendo omaggio a questa città singolare che, come mi è capitato di pensare a volte durante il mio mese rumeno, “non si sa vendere” - un pensiero che porta subito con sé una domanda: vendersi è proprio necessario? In effetti io credo di sì, soprattutto se per “vendersi” si intende un’apertura al mondo alla quale oggi (e forse sempre) non ci si può sottrarre. Ma aggiungo subito che molto dipende dal come - e qui, com’è mia abitudine, sarei tentata di divagare parlando di Genova che, quando ero ragazza, nessuno si sognava di visitare (tutt’al più il cimitero di Staglieno) e che adesso è diventata meta ricercata di vacanze intelligenti, o di Tallinn, il cui centro storico è stato manipolato a uso delle truppe di turisti che lo attraversano a passo di marcia, o senza andare lontano nel tempo e nello spazio, di questa Rebeccu che per restare viva accoglie visitatori venuti da lontano e spera di non tradirsi. Resisto alla tentazione, ma mi fermo su questa “speranza di non tradirsi”, che presuppone un quid (non chiamiamolo identità, e neppure genius loci) specifico di un certo luogo, da preservare e coltivare, anche quando ci si apre al cambiamento.
E dunque come posso definire il quid di Bucarest? Di certo per me non coincide con l’immagine tuttora prevalente all’esterno - una città disordinata e polverosa, grigia emanazione di un poco carismatico dittatore, Nicolae Ceaușescu, e della sua mefitica consorte Elena, morti ammazzati quasi trentacinque anni fa, il giorno di Natale del 1989, ma ancora aleggianti come immortali vampiri. Not an easy city to love, sta scritto nelle prime righe dell’edizione 2019 della Rough Guide, che poco oltre rincara la dose: “La sua caotica accozzaglia di strade intasate dal traffico, di brutti condomini in cemento e di monumentali ma per lo più incompiuti edifici comunisti è spesso sufficiente a far scappare la maggior parte dei viaggiatori verso le attrazioni più ovvie nel nord del paese”. (Dopo ci sono le lodi, naturalmente, ma l’incipit pesa di più).
No, questa non è la mia Bucarest, anche se ne riconosco tratti di verità, dalle automobili che invadono i bulevard alle ubique transenne per proteggere i passanti dalla caduta di calcinacci, quasi più numerose che a Roma. E non è la mia Bucarest neppure la “piccola Parigi dell’Est”, micul Paris: tanto poco la sento mia, questa immagine così nostalgica e piuttosto leziosa, che ho aspettato il penultimo giorno prima della partenza per visitare il museo che le è dedicato, Muzeul Micul Paris, nonostante fosse a due passi da “casa mia” e occupasse i primi posti nella classifica delle bellezze di Bucarest secondo Tripadvisor. Anzi, se alla fine ci sono andata, è stato per avere la conferma che (rare eccezioni a parte) le recensioni favorevoli su Tripadvisor per me sono un indicatore negativo - o se si preferisce, per poter parlare male a ragion veduta del Muzeul Micul Paris, impresa che si è rivelata anche più facile del previsto, basti dire che in questa “ricostruzione di casa borghese bucarestina della Belle Époque” il bagno ha il piatto doccia ma non la vasca.
Anche qui, però, devo riconoscere che lo stereotipo poggia su un fondamento reale: il filo con Parigi esiste e resta solido, non solo perché sono tanti gli artisti e gli scrittori rumeni che in Francia hanno trovato e trovano casa (da Tzara a Cioran, fino al contemporaneo Matei Visniec), ma pure per il rapido stordimento che può cogliere quando, camminando per le strade di Bucarest, si alza lo sguardo e ci si trova di fronte a un edificio che pare trasportato per magia da boulevard Raspail o da quai de la Tournelle.
Ma la mia Bucarest, quella per cui in questo mese ho sviluppato un inatteso attaccamento è un’altra, una città che assomiglia solo a sé stessa e che dalle varie sue stratificazioni, esibite e spesso stridenti, sa produrre una vitalità tutta particolare, che comprende una buona dose di ironia e di rilassatezza. “Questo è un posto straordinario”, mi dice Olmo Calzolari, giovane italianista con studi a Oxford, che da qualche anno mette in piedi iniziative culturali pendolando tra le Marche, Trieste e Bucarest. E’ lui l’ultimo regalo di questo mio diario sbilenco: entriamo in contatto il giorno prima della mia partenza e ci vediamo a un incontro all'interno di un ciclo, Jazz Roots Poetry Series, organizzato da Olmo con Teodora Raicu e Ștefan Săftescu in una sala di danza che si sta evolvendo in uno spazio di riflessione collettiva. Stavolta si presenta un libro, Voices from the Silent Cradles, “Voci dalle culle silenziose”, la cui autrice, Mariela Neagu, ex responsabile per l'assistenza all'infanzia in Romania, ha contribuito a tracciare le linee-guida della riforma del sistema di protezione dei bambini e dei ragazzi, mentre lavorava per l'ufficio rumeno della Commissione europea. Purtroppo non mi posso fermare a lungo, ma leggerò il libro, ci scriveremo. E l’atmosfera in questa sala affollata di persone di età diverse è quella che ho imparato a conoscere e ad amare: attenzione, serietà e una disposizione al piacere - un bicchiere, uno spuntino, un sorriso - che rende (non è un paradosso) la serietà e l’attenzione ancora più credibili.
Mi fermo qui, con il rammarico delle tante cose di cui non ho parlato: il bellissimo parco Cișmigiu! la tradizionalissima pasticceria Capsa! la nuovissima Casa Mita Biciclista! Quante figurine ho dimenticato, e ormai è tardi. La newsletter “Risvolti” abbandona il titolo Variazioni su un tema dato e torna ai suoi sobbalzanti ritmi consueti. O forse no.
(Ci saranno comunque qui e sul profilo Instagram @variazioni_su_un_tema_dato aggiornamenti sulle uscite degli articoli che fanno parte del progetto con cui ho vinto il bando dell’ICR per giornalisti culturali europei).